Ricevo e assai volentieri pubblico questo evocativo e simpaticamente sognante articolo sul whisk(e)y scritto da Simone Parisi.
Ma in fondo, chi è il bevitore di whisk(e)y?
Non è una domanda banale, ed il perché si perde nella storia stessa del distillato più intenso e complesso del mondo. Il whisky fu moneta quando veniva scambiato di villaggio in villaggio per vestiti, pelli e scarpe. Il whisky fu oggetto di tassa, quando a Londra seppero delle abitudini di Edimburgo ed intravidero una possibilità di lauto guadagno, di contro lo spirito indipendente scozzese intravide una buona possibilità di mandare al diavolo Londra e di non pagare nulla.
La tassa sul malto, i moti tragici del 1746 che costrinsero all'espatrio parecchi portatori sani di arte distillatoria da impiantare in nuovi mondi.
Poi la rivoluzione industriale, le ferrovie che collegavano gli angoli più remoti, il carbone, la distillazione sempre meno clandestina, l'irlandese Coffey ed il suo alambicco a colonne, il proibizionismo da una parte per la prima ricerca della qualità per quell'altra, e la storia si confonde in ricordi sempre meno remoti e più attuali.
Ma in fondo i palati per il whisky sono sempre i medesimi: il popolo come la borghesia, tutti fedeli al detto scozzese: non esiste un whisky cattivo, ma solo uno più buono di un altro, magari discendenti di distillatori clandestini delle Highlands come di Moonshine dall'altra parte dell'Atlantico, storie a volte tenebrose ed eroiche, sopravvivenze al limite del sopportabile tra le temperature delle Orcadi e fughe da veri e propri fuorilegge. Non è un caso che nelle Highlands ancora oggi gli alambicchi siano più piccoli: storicamente dovevano essere smontati in fretta alla vista dell'autorità. Insomma Spiriti Liberi. Difficile per loro incanalare un distillato nelle complesse leggi della degustazione.
A me vengono in mente i vecchi del paese, quelli che raccoglievano la vinaccia dei pochi che calpestavano mosti coi piedi per ottenere arcaiche ma sostanziose tracce di vino, loro si nascondevano in cantina e cominciavano a distillare, una volta mi arrivò in mano una di quelle grappe, rasentava i 70 gradi e tagliava la lingua in due, aveva odore di muffa di cantina, sentore splendido, unico, poetico. Con quel veleno il nonno si poteva ubriacare con un bicchiere solo e passare la domenica senza il tedio degli anni successivi, e la passava solamente cercando di rimettersi in piedi.
Ecco. Immagino così quei poeti. A fissare il cielo perché gli angeli avevano preteso il loro 2%, a raccogliere a mano millenni di torba, con radici di erica e microorganismi più sale di 2000/3000 anni fa, tutto per bruciare e far calore, come immagino i primi americani alle prese con il legno quando in Scozia ed Irlanda si usavano otri e giare. Forse il bevitore di whisky o whiskey è essenzialmente questo: un poeta, uno spirito libero, un'artista.
Che dire allora delle sempre crescenti release? I doppi legni, le percentuali di cereale, il gioco della torba o del Mash Bill? Impongono quella cultura di base, quel gioco soggettivo che mette di fronte un uomo ai suoi sensi. Ma non è questo allo stesso modo un lavoro di poesia? Non di certo quello del cattivo sommelier che per stupire cerca sentori tra i più assurdi e pazzeschi, ma quello dell'uomo di fronte a se stesso, dentro alla sua memoria storica di profumi e prelibatezze, quello che nell'esplosione di malto dolce di Speyside chiude appena gli occhi e pensa alla torta della nonna di un suo compleanno da bimbo felice.
Il senso è solo questo. Non ci si può avvicinare alla storia e all'importanza di un whisk(e)y senza la cospicua dose di poesia che rimane dormiente per tratti spesso troppo lunghi del nostro cammino, ed anche nel momento più tecnico, quello dove si chiude il bicchiere vuoto per aspettare l'evoluzione dell'estratto secco esclamare qualcosa di apparentemente assurdo e decisamente splendido, per sentirsi liberi e felici come un bambino che non pensa al malto ma all'ovomaltina e ai plasmon da lasciare sfaldare nel latte macchiato orzo.
Il bevitore di whisk(e)y è così.
E personalmente torno nell'isola che non c'è ogni qual volta riempio il Gleincairn con del whisky.
Il mio pensiero felice. La poesia per me, bevitore di whisk(e)y.